Quando ci lascia l’ultimo respiro
(in poche parole quando si muore)
si prova una grande felicità.
Ne sono testimoni i risvegliati:
che gioia, che luce, che pace;
che insolito piacere!
Raggi di sole come angeli d’oro
mi hanno portato in estasi
e in quell’istante tutta la mia vita
ho rivisto splendente e con amore.
Ma io son convinto
che in quel fatal baleno
-che arrivi tutto d’un colpo, a sorpresa,
o dopo una penosa sofferenza-
si provi un tal diletto
solo perché ci viene offerta
perfetta e consapevole coscienza
che, come bimbi al grembo,
ritorneremo finalmente là
da dove tutti siam venuti.
Nell’eterno nero del nulla.
Mi spiace.
Mi spiace per davvero.
La verità, però,
è sacra, e va insegnata con la forza.
Sappiano allora tutti,
anche gli illuminati,
che se alla fine
sculetteranno nella luce
sarà solo per subito sparire,
come figure vane, nell’orrore.
Ma non ridano atei e razionalisti:
l’oggettività incombe,
grave e reale,
anche sopra le loro teste.
Quando infatti vedranno
il paradiso oscuro
di cui son certi
non solo non godranno
di alcun piacere,
neppure della pallida
consolazione di quella lucina
in fondo in fondo,
ma non gli verrà in alcun modo
riconosciuta la virtù
d’aver creduto in vita
(pensando di essere più acuti di un prete)
in nient’altro che nella scienza
e nella sua provata verità.
Nessun premio, nessun honoris causa:
sentiranno solo un forte dolore:
eterno, temo, come il creatore.
Non chiudete gli scuri, sognatori.
Uccelli come bardi
stanno cantando lodi
alle vostre intrepide giornate.
Ho sempre amato
i volti del tempo passato.
Venivano avanti
curiosi e impolverati
e si acquattavano
in ogni cassetto di casa
negli angoli della cantina
sotto gli interdetti della memoria.
Quando trovavo un giorno o un’ora o un lampo
di me ero felice
e stringevo con forza tra le mani
quelle immagini ritornate
e redente dalla paura.
Non erano altro che rami spezzati,
e sottili, ingiallite
foglie cadute:
ma intrecciando con scrupolo e pazienza
il loro desiderio d’infinito
(non ho mai trascurato un solo giorno
durante gli anni
della mia scellerata malattia)
mi sono avvolta in un panno indulgente
convinta che potesse difendermi
nell’ora più crudele.
Ma adesso so che anche questo lavoro
è stato inutile:
il gelo mi ha preso le gambe,
mi spezza le ossa,
sale inesorabile al cuore.
La mente si confonde. Grida.
Si dice che al negozio marginale
si possa perdonare l’evasione
-anche criminale, quasi totale.
Vale sia sotto che sopra il bancone
dietro la cassa o in fila sindacale
-ma sia carnale il negozio in questione.
alla fatica del viaggio
PRIMO QUADRO
IL VIAGGIO D’ESTATE.
Via dalla scontentezza. 1. Vecchie zie 2. Dora e Leo si annoiano 3. Pietre nel lago 4. Clamoroso l’arrivo del nulla 5. Capsule artificiali 6. Qui non possiamo più restare 7. Programma di viaggio 8. Davvero le cose scompaiono? 9. Il legno diventa cenere 10. Presse pesanti e deformanti 11. Un morto al funerale 12. La frustata della delusione 13. La disperazione dell’amore
Una estate noiosa, disse Dora.
I pomeriggi sono lenti e caldi
beati e negligenti
e sono ancora più svogliati
delle ore lunghe di tante mattine
quando, ricordi, non eravamo che piume in volo
e si rideva
senza motivo
chini sui banchi, a scuola.
Sono persino più uggiosi
di tutto il tempo perso con le zie
o in visita alle amiche di mammà:
quanti lamenti e pianti,
lagne di donne e cucine in penombra
mi tornano alla mente
oggi, e sudori, aliti ferini
osceni, svergognati.
E cosce immonde, le fece eco Leo,
rughe di lombrico, occhiaia di pece
vischiose e fradice come limacce
e armate ai denti di logore stracce.
Assira la chiamava il suo amante
uno poco affettuoso ma attraente
alto e rosso com’era, e coraggioso.
Raccoglievano sassi levigati
e li tiravano nell’acqua piana,
al lago, alla Stellata,
prima della palude, con la sabbia
attaccata alla schiena
e all’orizzonte uno stagno bruciato
che s’incendiava nei loro occhi guasti.
Lui si copriva con la tesa
del cappello Stetson, di paglia chiara,
e guardava ai capanni
di pesca con curiosità e sorpresa
anche se non erano che rovine
ruderi d’acqua
nient’altro che povere trasparenze.
Ma si ergevano contro l’orizzonte
come forme immortali
e sferzavano il sole
orgogliose di una imprevista
dignità e non più coperte da fango
e oscurità.
Getta una pietra nel lago, Stetson!
lo incitò un giorno l’Assira.
Ancora, ancora!
E un’altra volta ancora,
pregò innamorata.
Vedrai, nasceranno onde,
e mari frangenti e le increspature
rilucenti che cantano
quando in riva diventano risacche.
Lo farò ma non devi illuderti,
disse Leo lanciando un sasso piatto.
Andrà che tutte quelle nuove vite
e arricciature, e pieghe, alcune tonde
altre alte e ritte, o con la spuma in testa
piano piano consumano, lo vedi,
tornano all’acqua fonda
che è triste e nera, buia come il ventre
cattivo e oscuro da cui sei venuta
fuori tu, e tutti, un giorno qualsiasi
persino la mia vagula
pallidula animula. Puella.
Idee e concezioni
ridono e saltano
lontano dalla riva
sull’altra sponda
dove il mondo di Dora
resiste al progresso scorsoio.
Non le conosci, Leo,
ti sono assenti
animula incredula querula.
E abbi pazienza e affetto
con me come io ne ho con te.
I mimi del futuro
non sono mai presenti
nel persistente qui
credono che ogni cosa
sia una carta estratta a casaccio
destinata a perdersi
fuori dal mazzo
e a scomparire
come onde nell’acqua, sconfitte
dall’arrivo clamoroso del nulla.
Il sentimento illude, Dora,
la nostra specie è condannata
ma un giorno
le cose saranno leggere
ed entreranno nella nostra mente
splendendo d’oro.
Quando le vorremo vedere
verranno avanti
la tecnica le spingerà
nelle capsule artificiali
del felice ricordo
per sempre
per sempre
per sempre.
E intanto
vivremo una vita modesta
saremo sfatti dalla morte
ancora prima di avere capito.
Amore amore e amore
non serviranno
son servi stupidi
non sono che il mastice del sublime
sciolto anch’esso nel nulla.
Cadremo giù
io e te e sogni e ricordi.
Ma adesso basta con laghi e paludi
andiamo via
ti prego Assira
venga avanti un’altra ora
via via via
dalla paura via
qui non possiamo più restare.
Si diedero un modesto
programma:
la felicità, la bellezza,
molte risate al mare.
Era questo lo spirito degli anni:
cambiare il mondo
amarsi, toccarsi, baciarsi
mischiare insomma
in una buona crema pasticcera
l’alto e il basso il blasfemo e il benedetto
era questo lo spirito degli anni
bisognava cambiare il mondo
e in fondo alla coscienza
trovare l’anima.
Sei sicuro Stetson
che le cose non possano essere
e stare,
e che debbano sempre trasformarsi?
Dopo l’amore,
mangiando cioccolata,
in fuga insieme al senso
smarrivano senno e criterio.
Il tempo è diventato infinito,
diceva Dora
guarda bene non è risolto
è una freccia ferma
il movimento è una illusione
il tempo tende a non esistere
l’amore non conosce
la falce tagliente del mietitore.
Oh care, oh quanto care
siete mielate immagini
dei nostri abbracci,
sdolcinate fotografie
del mondo che non c’è
cantilenava Leo irriverente.
Non sono che memorie amare
ridicoli ricordi
dei nostri momenti perfetti,
nient’altro che morali accadimenti
felici contingenze
destinate all’eterna uscita.
E non avranno più valore,
insisteva crudele,
di una acconciatura riuscita
non dura un mese
poi va rifatta
le cose non sono mai uguali
il legno bruciando diventa cenere
solo la tecnica ci salverà
la nostra mente sarà immortale
quando verrà
protetta da corazze artificiali.
Chi può saperlo, Leo,
pensava Dora
ieri ce lo ritroviamo domani
come non si fosse ancora esaurito.
Il tempo presente e il tempo passato
sono viventi nel tempo futuro
e il tempo futuro è dentro il passato
l’abbiamo pur studiato.
Le ore si acquattavano rispettose
quando si divertivano in cucina
bruciando le ricette
o quando ascoltavano vecchi dischi
per tirarsi un po’ su
o quando, a letto, dopo essersi
rincalzati ben bene le coperte,
giuravano che quel giorno era tutto,
era per sempre.
Le carezzava il ventre Leo
come fusa di gatto
alla ricerca del piacere
lungo ma austero
il loro preferito.
Dora lo proteggeva
da orizzonti che fuggivano via
ma bastava una giornata insensata
che so un brutto film amici noiosi
perché lui sentisse l’orrore
delle cose che finiscono
che pesano nel petto
e premono e distruggono
come torchi pesanti, deformanti.
Non vado ai funerali
e alla morte non penso.
Ma a Sartine, nella piazza del mercato,
tre bimbetti vicini alla fontana.
Op-là, op-là, op-là.
Lune-dì
Marte-dì
Mercol-dì
Giove-dì
Vener-dì
Saba-tò
Domeni-cà
E dopo i bimbetti tre vecchi
-vai là
-cosa c’è là?
-un morto al funerale.
E a Sartine, nella piazza del mercato,
sembrò quel giorno
a lei che pur le cose tratteneva
e a lui che le spingeva invece via,
a entrambi
parve, per farla breve,
che l’amore stesse finendo
spossato dagli anni, dal tempo,
o dal muto apparire
dell’incapacità
di spostarsi da sé.
Era irrequieta per l’irrequietezza
di Leo
che si muoveva verso un desiderio
non concepibile
resistere alla morte
a costo della vita.
Si abbracciavano ma l’abbraccio
li tendeva indietro e li allontanava,
arco rovescio,
frustata della delusione.
Gettano cibo dalla cittadella.
Corvi e gabbiani
stridono in una nuvola furente.
Li vedi?
Lassù?
I mercanti della bastia
stanno buttando anche la noia;
e la disperazione dell’amore
preme le labbra
sul banco africano.
SECONDO QUADRO
SVILUPPO OCCIDENTALE.
Crescere, crescere! 14. Leo ha trovato l’oro 15. Il marchio dell’anima 16. Euforia liberale 17. Lo sviluppo sentimentale 18. A innovazione stupida innovazione idiota 19. La guerra in Europa 20. L’immortalità 21. Il salotto di Donata Shelley 22. Altri ospiti: Giovanni Denes, Angelo, L’impavida, L’indiano 23. Le masturbazioni dei lupi 24. La macchina desiderante 25. Ormoni e neuroni 26. La nostra essenza 27. La tessera del viaggiatore e altre idee 28. La quiete dei giusti 29. La violenza 30. Capitale e lavoro 31. Ti ha stuprata? 32. Non ti lamentare.
Oh, è pulito il cielo
e la stella più alta
s’inchina a questa notte
e alla libertà di tutti i viandanti.
Per primo
a cavallo tra il capo e la colonna
marcia Stetson
con un sacco pieno di voglie.
Pare abbia trovato l’oro, un filone
non solo una pepita,
d’altra parte si è dato all’impresa
allo sviluppo
e il senso lo ha trovato
nei momenti perfetti
della contabilità dei profitti.
Alla partita doppia dell’amore
ha riservato piaceri minori
solo e nient’altro che voglie carnali
dagli istinti sgradevoli e coscritti.
Molto più tempo per gli affari:
prima ha aperto un negozio
camicie
poi una manifattura
camicie
concentrare è la missione
la specializzazione
apre le porte
e anche le casseforti
e negozio dopo negozio
s’inventa un marchio
si soffia in volto l’anima,
una santità se la merita
una camicia costa dieci
e la rivende a cento
chi di lui meglio?
Ha intuito, Stetson,
sa trovare le molli contingenze
che portano al denaro
e svelto svelto
occupa spazio
tutto lo spazio
con negozi, camicie, macchinari
e sentimenti;
e invade la vita e cambia i destini
di operaie e operai,
di venditori,
progettisti, fotografe e modelli,
sopra tutti ama
i creativi
che improvvisi e danzanti
per niente schivi
ti escono fuori con questa brillante
intelligente promozione:
un ferro da stiro in omaggio
se prendi due camicie;
e non basta: una robiola in aggiunta:
a stirar vien la fame.
Che originale idea, Stetson!
L’espansione sentimentale.
Gli affari non sono altro che emozioni
ai tempi
ancora non si poteva sapere,
ma quando il consumismo
fu liberato
si vide bene
di cosa era capace
l’euforia liberale.
Altroché moderati.
L’offerta incontra sempre la domanda
lasseiz faire
gli Stetson non li ferma
nemmeno il senso del ridicolo.
Gli Stetson: camiciai o digitali,
inventori di imbrogli,
e di prodotti innovativi
programmatori
dai grandi portafogli
filantropi e informatici
visionari del commercio elettronico
dalle dita e unghie lunghe,
grandi capacità di calcolo,
di smercio – e non bastasse
sanno ribattere:
a innovazione stupida,
nuovo prodotto idiota.
Doveva essere una rivoluzione
ci hanno investito l’anima del mondo
e persino i risparmi della Storia
ma hanno ricavato solo un gran caldo
e ghiaccio in quantità
s’eran mai visti
quarantacinque gradi
a Londra
a Londra!
E s’eran mai visti quarantacinque
gradi sotto lo zero
a New York
a New York!
E una guerra in Europa
s’era mai vista
dite, su, dite.
Ma ora basta rimpianti,
i nostri anni sono i migliori
non si vive forse più a lungo
e con molte comodità
l’acqua calda non c’era
la carta igienica neppure.
Quest’altro poi ditelo sottovoce:
oggi si sa
che non c’è altro scopo
se non raggiungere tutti gli scopi
e il maggiore di tutti
è l’immortalità.
Gli Stetson non li placa che l’idea
di vivere per sempre
in ottima salute
consumando pornografia
per dare un senso alla vita eterna.
Gli Stetson traggono il loro piacere
da una estroflessione dell’anima
che ripiega verso l’esterno
come alle volte
capita a certi organi anatomici
malati
che non vogliono più restare
al loro posto.
Gli Stetson…
Venga su da noi
domani prima che scenda la sera
ci riuniamo per divertirci,
per capire anche un po’,
o forse solo per stringerci
sa, la paura,
attacca, morde, picchia.
Stare insieme invece sostiene,
e alla sua anima
il nostro salotto potrebbe
togliere quella brutta sensazione,
quale mi chiede,
ma sì, quella, che i sentimenti
e la forza interiore
prendano forma
con un ferro da stiro
in omaggio ogni due camicie
più una robiola
cose virali
gentaglia
lo capisce lei stesso
chi inventa oh non la dico
quella parola
sì la pubblicità
ecco l’ho detta
chi crea quegli stupidi universi
non ha più anima
e testa di una mosca cavallina
oh perché mai una mosca cavallina
che associazione spiritosa non trova
Stetson?
Venga, non la deluderà l’incontro
tutti amano tornare
da Donata Shelley.
Ci saranno Giovanni Denes
umanista e scienziato tra i più grandi
e l’uomo tradito dallo sviluppo
l’Indiano lo chiamiamo
un povero alla nostra tavola
non manca mai, è regola civile,
e Angelo Biasi
oh, yes, lo statista europeo.
Ma vada avanti
cosa stava facendo, è senz’altro
cosa importante.
Intanto, la aspettiamo.
Finisca, vedo che le piace
ma se vuole un femminino consiglio
la scopi nel bosco in montagna
i lupi si masturberanno
mentre se la fa
e saranno rapiti
dalla scarmigliatura dell’impavida.
Gliela presento io, Stetson,
è una che ci sa proprio fare
dopo il piacere
accende i capelli di luce.
La macchina desiderante
che c’è dentro di noi non si esaurisce
mai, continuò Donata Shelley.
Era pesante di ori
e il collo le scendeva
lento sul gonfio petto.
Noi siamo dominati, aggiunse,
da istinti indipendenti
da questa nostra umana volontà
è un congegno
che ci precipita in un vuoto
oh, quale precipizio
c’è caduto l’Indiano
Giovanni Denes no
io non so
Angelo Biasi qualche volta
e l’impavida scarmigliata sempre.
Lei, lei Stetson?
Nel salotto di Donata Shelley
innovazioni industriali
affari, sostegni politici
sesso e passioni
ma non si creda
si parlava anche d’alti temi
agli ormoni piace di tanto in tanto
la compagnia dei casti neuroni.
Se non abbiamo un fine in noi stessi
diventiamo uno scaffale di merce,
se la nostra essenza è trasformare
assoggettare, cambiare, creare…
Un bel divertimento, non le pare.
Allora mettiamola in questo modo:
il destino dell’uomo
è di essere violato e assoggettato.
Bisognerebbe quietarsi un pochino
con questi consumi, e con lo sviluppo,
solo un pochino
ci vorrebbe una tessera
del viaggiatore, quattro voli
non di più, quattro voli all’anno,
forse bastano tre.
Diventiamo sempre altro
piagnucolò Donata
perché non stiamo fermi un poco
solo un poco vi prego.
Se crediamo che il desiderio
la volontà
di trasformare e dominare
e violare tutte le cose
e tutti noi viventi,
sia la nostra natura
se crediamo che il desiderio
la volontà
di interpretare
e attribuire significati
all’insignificante mondo
sia l’essenza dell’uomo
finiremo per essere
trasformati, violati e dominati
contro la nostra stessa volontà.
La violenza e l’alienazione
sono parte costituente
dell’idea che abbiamo
di noi stessi, noi stessi…
Ci crede lei? Mi sente?
Vuole essere chiamato Leo?
Con il suo nome?
La smetta adesso.
Shan uh shan uh shan uh
che la bellezza dell’impavida
sia irresistibile
lo capisco, ma si contenga
ci ascolti.
Siamo rimasti prigionieri
di opposizioni irriducibili
capitale e lavoro, giorno e notte
individuo e società, caldo e freddo
amore e odio, vita e morte,
per non dire il pesante
con il leggero
shan uh shan uh shan uh
cos’altro sono
continuò intensa Donata
se non una costruzione ipotetica
con le ipotesi ci siamo avvezzati
proprio bene, sempre serviti a tavola
da camerieri svelti come gatti
pronti a soddisfare ogni desiderio
la carta dei vini invecchiati
please
oh l’umanesimo
caro però
siamo rimasti implicati e impigliati
qualcuno anche impagliato
lo sconto, ci vuole lo sconto
se siamo creatori
beviamo tanto, sa, dov’è lo sconto
allora dobbiamo violare
versi pure, qualcuno pagherà
tutto il mondo con i significati
magari proprio lui, quel poveraccio
potrebbe finanziare la campagna
di Angelo Biasi
qui seduto alla nostra tavola
quello vuol dire questo,
questo vuol dire quello
mi fa una pena.
Una pena, Stetson, non crede?
Oh, non ti lamentare, no no, impavida.
In fondo ti ha pagato anche il chirurgo.
Non ti sei forse rifatta le guance?
E la bocca? E le tette?
Mi ha stuprata mi ha presa.
Oh, via, via, impavida…
Sono stata premio o vendetta?
Si è raffinato amante
non più il rostro usa o il fuoco
per levar l’eterno alla terra e al cielo
ma il suo ingombrante membro,
Oh, oh…
e leggeri disegni
nell’anima, violenza.
Oh…
Volevo andare mi ha tenuta ha vinto.
Con l’oscena promessa
del godimento.
Oh, oh, oh…
Delle cose senz’anima
con cui mi riempirà la vita
facendole girare, e cambiare,
per lenire il dolore
di non capire, non amare.
Non mi rimarrà nemmeno il ricordo.
TERZO QUADRO
CI SONO VITTIME?
Non perché esistiamo ma perché ci sono vittime. 33. la carta d’Europa si è rotta 34. Rispettare i morti 35. La rinomata lungimiranza dei liberali 36. Il piacere nei capelli accesi 37. Inaridito fiume 38. Dolci amori 39. Le latrine del potere 40. Aiuto 41. Nessuno mi guarda 42. Guardami 43. Mio figlio mi odia 44. Il godimento continui! 45. Mi sono ucciso per la furia degli oppressori.
Città presuntuose, strade graffiate
la carta d’Europa si è rotta
l’acqua è uscita dai fiumi.
Ti ho tanto aiutato indiano
e ti sei ucciso invece di cercare
un buon posto al collocamento.
Non si fa non si fa.
C’è chi è morto nei profondi del mare
gli dovevi almeno rispetto.
Morti per acqua:
e marinai non sono o pescatori
ma viaggiatori.
I nostri spiritosi imprenditori
li attirano a gruppetti
se la va la va
-vengono giù dal mare
-E sono ben vive mio caporale
-Li arruolo anche nel suo nome Donata
-Guardi Angelo, c’è un precipizio
-Premio per aver costruito
-Vuole scherzare
-No, non sono altro che vittime brevi
per la rinomata lungimiranza
dei liberali.
-io no, io no, io no
-non è il caso non ci pensi adesso
-mi vede?
-Come potrei non vederla, impavida,
ha i capelli già accesi
-non voglio più essere vista così
-oh, via, via
Inaridito fiume
attraversi pianure
e frantume, e secche città.
Le pietre sono spente
le lune gemono.
Qui ci sono stati poeti
guidavano rolls-royce
carezzando la morte.
Ricordate vi prego
di pulire per bene i pare-brise
prima di accendere i motori.
Oh che dolci amori nel temporale
d’estate,
che dolci amori!
Inaridito fiume
dove sono i battelli
dove le nostre chiassose parole?
-Dove, legislatore e esecutore?
-Venga nelle latrine
subito, mi segua nel falansterio.
-Faremo sacrilegio
-Venga impavida, le ho disinfettate
anche da ogni più sordido peccato.
Mi aiuti, adesso.
I capelli si sono spenti
ma mi favorirà lo stesso
dopo tutto quello che ho fatto
nelle latrine.
Mi guardi per favore
a chi posso chiedere aiuto?
C’è questa luce viola
mi stringe come una camicia
di forza, la giusta sanzione
per chi come me non sa vivere.
Mi guardi per favore
a chi posso chiedere aiuto
mio figlio
ha solo sedici anni
beve è violento
farà violenza anche a chi ama.
Chi gli ha messo in corpo l’orrore
mi guardi per favore
a chi posso chiedere aiuto.
Nessuno mi guarda tu non mi guardi
tu non mi stai guardando
Ho cominciato a illuminare
i miei capelli e a tenerli in ordine
Gianna la parrucchiera
mi ha così tanto aiutato
perché finalmente qualcuno
guardasse nelle mie lacrime
mio padre e la mamma
non mi vedevano
mi guardavano ma non mi vedevano
mio marito
non mi vedeva
guardami gli dicevo
abbracciami
ti prego
ma non capiva
seguiva un altro azzardo
girava lo sguardo da parte a parte.
Ma avevo un figlio
e una cucina
come si deve
la casa mi piaceva
mi piaceva anche lavorare
creavo asole cucivo bottoni
pensavo potesse bastare
ma mio marito è andato lontano
mio figlio è diventato violento
e sono caduta in questa latrina
per pagare i suoi vizi.
Guardami ti prego ti prego
aiutami almeno a capire
la poesia non mi porta di là
eppure ne ho letta
l’ho anche scritta sai
per andare di là
ma ho usato le stesse parole
di chi mi compra
delle famiglie e degli amici
delle sere delle risate
della volgarità
con quelle parole non si va
non sono andata oltre,
ce ne vorrebbero altre
chi le ha dove sono i poeti
c’è chi sta sul confine
chi vive sul confine
dove le lingue si mescolano
forse vanno di là
forse quelle parole passano
ma adesso
guardami adesso guardami ti prego.
Non c’è bellezza che possa placare
sofferenza e rimorsi
non c’è nulla da amare
si procede solo con scherno
e derisioni.
Nessuno mi guarda tu non mi guardi
tu non mi stai guardando
come faccio non ce la faccio
i soldi non mi bastano
voglio sguardi e parole
capiscimi almeno un pochino.
Sono ridicola sulla latrina?
Però guardami guardami guardami
mio figlio mi uccide
leva da lui l’orrore
guardami guardami guardami.
Inaridito fiume
attraversi città
sarai attraversato da armi e da niente.
Per continuare il godimento
il gran divertimento
dei mondi.
Mi sono ucciso
invece di suonare il campanello
del funzionario del collocamento
mi scuso
ma ho sentito forte il richiamo
degli antenati
che svanivano nell’alcool,
spenti in lacrime, disperati
per la furia degli oppressori
e del loro saper vivere.
QUARTO QUADRO
MORTE E VITA DI DORA
Soluzioni alla morte. 46. La morte è una scienza 47. Vivere nel presente 48. I ricordi di Dora 49. La malattia 50. Per rivederti nella luce continua voglio guardarti 51. Niente da fare si muore 52. Chi l’ha uccisa 53. La morte andrebbe anticipata 54. Craoooncroaaan 55. Un po’ d’ironia. 56. Oltre non c’è né spazio né tempo 57. Dora salvata e utopia 58. Battibecchi da fisici laureati 59. Gatti 60. Io vivrò nella luce ferma, tu nell’oscuro movimento
La scienza della tanatologia,
ovvero del maggiore dei principi,
trae necessità da echi passati
e dal loro diabolico disturbo.
Ah potessimo dire e dopo un lampo,
per una distrazione o per natura,
dimenticare ciò che abbiamo detto.
Parafernale è la memoriosa,
dolorose le sue conseguenze.
Dovremmo imparare a non ricordare,
non c’è Proust nelle mie vecchie memorie,
l’ho visto solo al pascolo d’estate
gli piaceva carezzare bonarie
stoiche e indifferenti mucche pezzate.
Vivere nel presente e abbandonare,
rifiutare la sensazione storica,
è per Leo una diversa natura.
Non che non creda al grande futuro,
è scritto in tutto quello che fa e pensa,
non ama però la malinconia,
l’umanesimo e i suoi miti e valori,
i diritti invecchiati della carta,
la nostra fede sociale e civile:
e allora venga avanti un altro uomo
che non ricerchi il tempo perduto
e tenti di cancellare il passato.
Ciò che è stato diventerà vuoto,
l’inutile sarà dimenticato.
Dora gli aveva chiesto d’incontrarlo
nell’albergo di quand’erano giovani,
nella camera in fondo al corridoio,
al sesto piano l’ultimo il più alto,
prima c’era un salotto decorato,
affissi quadri e stucchi colorati,
ricordi Leo come ci piacevano,
li faceva così anche il gessista,
aveva la bottega dietro casa,
vicino al falegname, ma sì lui,
quell’uomo con la barba caffelatte
che usciva scalzo anche se pioveva,
portava solo un paio di ciabatte,
di stoffa, sporche e rotte, e sorrideva
Dora gli disse che sarebbe stata
l’ultima volta.
La mia vita è finita succede
Leo una malattia.
Perché proprio a me nemmeno chiederlo.
Devo guardarti
voglio vederti sempre
nella continua luce.
Leo parlò al pianto
alla paura
sentì spezzarsi i nervi
cadere
qualcuno può giurare
che si potranno domani rialzare?
L’ha uccisa lo sviluppo
Occidentale.
Cancri generosi appaiono
trionfi incerti, progresso,
turbine vapori carbone.
La regressione gioca a nascondino.
Ma c’è chi muore anche per la miseria
e in ogni caso
si muore a poco a poco
anche se improvvisa è la notizia.
Rimase con l’Assira
ascoltava l’avvicinarsi
ogni anticipazione
ogni nota ogni suono dell’accordo
che deve seguire mentre l’accordo
precedente resiste ancora.
Si sente
non c’è bisogno
di tendere l’orecchio.
Invecchiare, guastarsi
morire:
Dora, l’Assira
avrebbe voluto che un assassino
anticipasse il necessario
ma non era Leo l’eroe
scelto per quell’impresa.
Salì il pavone
di nuovo al loro amore
alla stanza dei gessi
e Dora lo sentiva
il segaccio del falegname
craoooncroaaan
faceva così il vecchio
craoooncroaaan
astuto lucente richiamo
adesso
per il mutolo agone
con i giorni finiti
senza più la forza di trattenerli.
L’ironia si è mossa avvolgente
creando l’ora e la figura.
Gli spazi sulla linea del tempo
sono sbarrati.
Le stelle sono vetri opachi.
Sta un volto morto
nel freddo.
Soffrire di più?
Tagliami il braccio vecchio
devo lasciare qualcosa quaggiù
o non rimarrà niente
la pelle carezzata
di Dora nemmeno la pelle
nemmeno la carezza.
Per molti anni ha gettato sassi
alla Stellata.
Bravo Stetson! quell’onda rimarrà
orgogliosa nell’acqua
anche se tu credi che morirà.
Se è stata essa sarà,
lo canzonava,
se è stata essa sarà.
Massaggiami i piedi Stetson
sai che mi piace
e poi vienimi sopra, abbracciami.
Nessuna vita se non c’è la morte
i nostri giorni li vivremo eterni
senza Dei creatori
al passaggio c’è luce e
rimembranza
O niente, nel caso, se preferisci,
ci sarà ciò in cui crediamo
nulla resiste
ai battibecchi
del tempo su se stesso.
La malattia se ne andò.
In un giorno grigio da non
crederci.
La cura, la volontà di restare.
E Dora visse al lago
l’utopia là resisteva
anche se un poco balbettante.
Aveva trovato il suo amuleto
quel gatto bianco
d’avorio
più veloce e astuto del topo
delle altre poesie.
Il mio tempo è segnato-finito
il tuo va avanti
gli disse
non piangere non morirò.
Ora, ad ora ora
sarò col gatto
nella capanna
per guardare brilli
sulle onde rifrangenti
giù al lago
alla Stellata.
Ormai è tardi per altre cose
non mi interessa
il tuo domani
la sua voce zang tuuumb.
Io vivrò nella luce ferma
tu nell’oscuro movimento.
QUINTO QUADRO
LA CADUTA D’EUROPA
Due parole dall’aldilà 61. L’appetito non manca 62. Avanti anime, parlate una buona volta 63. Io saprò 64. Troppi sono i sapienti 65. Adesso uccidi il fotografo 66. Rimpianti 67. Centrifugare i pensieri 68. Sarebbe stata una bella giornata 69. L’uomo nuovo 70. Duchamp 71. Non voglio soffrire 72. Tutti 73. Nella fossa comune la guerra è finita con i corpi di cera 74. Tedio 75. Andare sempre avanti fragile e coraggiosa la volontà mi ha uccisa 76. Al museo d’Orsay 77. La rivelazione
Giovanni Dènes
professore e scienziato
un fisico sperimentale
di larga fama in città e in Europa
e che ha goduto di ottimo appetito
fino in anziana età
si consumò ballando
con una sconosciuta.
Non precorse significati
raccolse però molta luce
che pensò fosse
il bagliore del sole
dopo la bianca notte. Era stanco,
ma non lo sapeva. Morì,
disse il dottore,
proprio per questo
Mi sente Denes
sente laggiù
oh oh
mi sente Denes
cosa vede suvvia su sia carino
ci piace tanto condividere
memorie e file morti di morti, vuoti.
Per sapere, mica per altro,
la conoscenza
è il nostro bene supremo,
dobbiamo andare fino in fondo
non ci arrenderemo proprio ora
facciamolo per i nostri ragazzi.
Saprò d’ogni fenomeno ogni cosa
anche se fastidiosa o sanguinosa
ogni vizio d’ognuno
conoscerò
anche i segreti più imbarazzanti.
Che non ci fosse dio
si sapeva ma dallo spaziotempo
mi sarei aspettato di più
messo nudo è rimasto ben poco
un cosino da vergognarsi
che anche se unificato con un quanto
non ne vien fuori un grande attrezzo
chiunque può capirlo da solo
ho visto un amico diventar pazzo
e disperarsi con malvezzo
sconfitto da equazioni
indecidibili.
Ma l’inizio e la fine
io scoprirò
veritieri e inoppugnabili.
Insisto:
è nella nostra natura d’umani
insistere
anche se vecchi arnesi
della superstizione
m’inseguono gridando
che è ridicola questa ambizione
sono un insetto
nei casi più evoluti una serpe
ronzo e brusisco
calabrone nel vetro
non ho nemmeno
la nobiltà
del basilisco
ma penso ancora
come un santo al tempo del Libro
che quel che vedo
sia più o meno tutto.
Temo però che mentre scoprirò
(se riuscirò non ne sono più certo)
una legge che vale
sul granello che credo di abitare
sarò preso alle spalle
da una irridente
tempestosa tormenta
e sarà ogni granello di sabbia
affollato d’altri sapienti
ciascuno con la propria lavagnetta
allucinati e spettinati.
L’indiano è alle mie spalle.
L’ho appeso alla parete
è solo un manifesto di Geronimo.
Lo vedo nello specchio
sporco, stupito e scosso per il lampo
di un vecchio flash.
Sulle ginocchia conserva il fucile.
Per tutti i figli assassinati
impazzirà di nuovo, sparerà.
-Oh, rimpiange ancora il tempo d’estate
Denes?
Quand’era vivo?
-Dovrei, Donata?
-Oh, azzardi, azzardi
-Sotto forma di caos?
-Oh si dia forza
-Mi attraverserò, ma mi aiuti.
Visioni sveglie all’alba
coglieranno l’errore
e il fantasma dei tuoi occhi.
Il nitido corpo davanti
nel volto la risata spezza
il lamento dell’organetto,
le mani nelle braccia
la forza di prendersi
di sollevarsi
alla luce alla notte
in volo sulla terra
delle indie tutte…
Oh, Denes, lei ha perduto
tra gli specchi violati da narciso
tutte le note arcane della vita
Prima di andarsene la sua mente
ha barcollato lo sa
se mi permette la similitudine
un poco irrispettosa
come il cestello della lavatrice
modo centrifuga
lo sa, lo sa, lo sa
nevvero?
Di altri anni vecchi vediamoci là
Sorridendo faremo ampi saluti
al forte sole che entrerà in veranda.
Dirò: bella giornata per sciare
(fuori è tutto bianco)
ma abbiamo dormito fino a tardi.
-Il corpo seppellito ha germogliato
Denes?
-Il morto ha germogliato come un vivo
Il vivo germoglia perché è morto.
-Oh non faccia indovinelli Denes
Chi sta germogliando è l’uomo nuovo
Nevvero?
Via da me ogni dolore
Duchamp
nudo scende le scale.
Mi dica la prego mi dica
Denes
soffrirò anch’io malattie?
Li ho visti tutti sai davvero tutti
la vecchia con i sacchi della spesa
la ragazza che cancella le righe
due vivi innamorati e sorridenti
e due vivi addolorati a passeggio.
persino giovani ho visto tum tum tum
li ho visti tutti sai davvero tutti.
La guerra è finita
Con i corpi di cera
Nella fossa comune
Non altri umani ancora
vi prego non più amore
non più.
L’amore
ha la coda tagliente e l’occhio bianco
tedio dolce stucco rosa su panna.
Vedo la strada
Non morirò
Non tornerò indietro.
Desidero che tu sappia che una delle più segrete felicità
che ho provato è stato quando mi hai carezzato una mano
mentre guardavamo una teca del museo d’Orsay.
Oh cosa c’era, cosa c’era dentro
la prego Denes… la rivelazione!
L’umanità l’attende.
SESTO QUADRO
SULLA CORDA TRA LA BESTIA E L’ALTRO UOMO
Siamo funamboli, nevvero? 78. Sulla corda 79. Non si può tornare 80. Non siamo soli 81. L’uomo è corda e funambolo 82. Quando si moriva tutti 83. Odio 84. Dora ha scelto 85. Le giornate di Dora non spariranno 86. Lui mi ha guardata 87. I deboli se la prendono con i potenti e perfino con Dio 88. Tu sei un’ombra del sogno 89. Capita di avere un pomeriggio libero e di attraversare tre cortili per vedere che cosa c’è oltre
Mettere un piede dopo l’altro
sulla corda ben tesa
ho paura, Leo
disse Donata Shelley.
Guardi quanti sono già stramazzati
sfatti laggiù nel precipizio
Giovanni Denes, e l’Indiano
non vedo Dora
oh si sarà salvata
ma di sicuro c’è il falegname
porta ancora le sue ciabatte
di stoffa, sporche e rotte,
più indietro il gessista
anche lui morto
li conosceva li ricorda Leo
e tutti gli altri
perché mi chiedo accade questo
caduti a milioni e miliardi
che farsa malinconica
e noi invece qui ad arrancare
abbracciati da celesti visioni.
Tornare alla bestia da cui veniamo
ci leverebbe la coscienza
la parola, le nostre mani
non stringerebbero più armi o penne
dovremmo rinunciare alla bellezza
delle parole e delle rime
e al cammino verso un’altra specie
dovremmo abbandonare il sogno
che ci può rendere immortali.
Non siamo soli
gridò Donata Shelley
c’è l’Angelo Europeo, lo statista,
e l’impavida che hai preso a forza
la vecchia con i sacchi della spesa
la ragazza che cancella le righe
due vivi innamorati e sorridenti
e due vivi addolorati a passeggio
L’uomo è una corda sul precipizio
tra la bestia e un altro uomo
l’uomo è il funambolo sulla corda
l’uomo è corda e funambolo.
Oh quanto mi dispiace
disse Donata Shelley
per quelli che l’hanno mancata
per un respiro, per un alito
perché chi l’ha mancata
per un millennio
ebbene, Leo, converrà
non poteva nemmeno immaginare
che avrebbe potuto salvare
per sempre coscienza e ricordi
dentro una macchina elettronica
e finalmente avere una anima
libera dalla carne
non lo poteva proprio immaginare
ed è morto in pace, si fa per dire
era un male comune
tutti morivano
adesso moriranno solo i poveri.
Quell’uomo sta cadendo
piange rabbia e livore
come chi è morto
prima di una bella invenzione
che so penicillina o cortisone
o anche solo più pulizia
negli ospedali
dottore lavati le mani.
Dora ha scelto
di lasciarsi cadere
le basta la fede, diciamolo,
un poco folle
e ingenua
che le sue giornate funambole
sulla corda sopra l’abisso
siano eterne e non finiscano
nel nulla.
Le mie giornate
non spariranno
sarò sempre con loro.
E guardatemi adesso
non mi avete guardata
mai e ho fatto tanto
per voi tutti, sì tutti
nelle latrine della città eterna
dolci come le alte terrazze
dove mi avete presa
e quella notte me ne sono andata
e ho incontrato l’indiano
in un angolo buio
mi ha portata nella sua casa
guardami, ho pensato
e lo ha fatto
ha messo lenzuola pulite
e lui si è sdraiato per terra
non c’era che un letto nella sua stanza
ma ero sfuggita a mostri criminali
veri bau bau ho detto ridendo
e anche che potevo tornare
a casa e liberare il letto
ma l’indiano mi ha guardata
e ho deciso di stare
in quella povertà
muri umidi un secchiaio
e dietro una porta di ferro sporco
un cesso
puoi restare anche domani e domani
ha detto
la mattina non era più
sul pavimento
aveva deciso di andarsene
fanno così le persone per bene
non stanno, vanno.
Si perderà anche l’impavida
disse Angelo,
come l’indiano,
un’altra vittima
i deboli non ce la fanno
e se la prendono con i potenti
e perfino con Dio.
Tu hai steso la fune
tu hai spinto la tua creatura
a staccarsi dallo sperone
dove si alzava e gridava la bestia
tu hai voluto che avesse coscienza
tu hai disegnata intera la scena.
e fatti due passi di danza
te ne sei andato
ombra del sogno.
Oh Leo
ci dica
cosa accadrà ora?
Un giorno avevo il pomeriggio libero
e sono andato a Novacella.
Il sentiero lungo l’Isarco
era ghiacciato
il cielo bianco
mi stringeva la testa.
Così a un bivio restai sulla via
più bassa riparata dagli abeti
e dopo un’ora di cammino
vidi la sagoma
dell’Abbazia
che usciva dalla bruma
come una nave
da un orizzonte marino incerto.
Attraversai tre cortili.
Nel primo entrai in una osteria
per turisti dove una coppia
eccitata mi offrì un corposo
Lagrein; nel secondo dominato
da una edicola quattrocentesca
udii una melodia orchestrata
da strumenti sconosciuti; e nel terzo
aprii la porta segreta
di una chiesa barocca
affrescata con scene della vita
di Santa Ampet, Santa Gewer
e Santa Bruen.
Girai attorno alla chiesa,
non volevo perdere nulla
anche se ormai la vista
non mi assisteva piu’ come all’inizio
della passeggiata, e mi accorsi
con sorpresa che dietro l’abside
un piazzale, definito da un muro
alto due metri,
era un abbandonato cimitero.
Sulle tombe si alzavano
croci di ferro
muti tronchi di una foresta.
Raggiunsi curioso il confine
del camposanto
e mi arrampicai sul muretto
per vedere chi ci fosse oltre.
SETTIMO QUADRO
UN ALTRO PASSO
In transizione verso un’altra specie. 90. Gli uomini nuovi 91. Dimentica l’Assira 92. La tenera acacia 93. L’odio 94. L’umanità è alle nostre spalle 95. Non fu altro che gioco, burla e motteggio 96. Pietà per l’umanesimo morto 97. La luce e il silenzio sono diversi 98. I morti sono avvolti nel sogno 99. Decine di miliardi dormono nelle fosse con i topi 100. Io
Leo:
Accesi da speranze
gli uomini nuovi si spingono avanti:
ma li conosco bene
prima vorranno bere
un bicchierino al bar.
Sono immortali
mai stanchi di ballare
e non hanno più voglia
di compassionare, di amare e odiare.
Meraviglioso caos.
Si cammina ancheggiando e tutto cambia.
La confusione è generata
dalla vertigine delle risposte.
Conversari striduli di scimmiette
intorno al mondo vero.
Non sono più solo i bizzarri
eventi della mia modesta storia
ma le chiacchiere del villaggio
ad arrampicarsi nodose
come un esuberante glicine
dentro le fessure dei miei occhi.
E se mi spostassi da me?
Donata:
Attendenti per il futuro
bravamente devi cercare
Crea ora, sei diventato immortale!
Spiritosi fantasmi
si affacceranno allora
alla nostra dimora.
Perché è nostra, nevvero?
Mi porterai con te?
Carini e utili
sorvegliano e frenano il Bene
instancabile ma insipiente.
Uguali, incarcerati
dallo stesso destino
stanno i morti per troppo amore
ed i caduti per troppo furore.
Oh lei, l’Assira!
Riposava sulle onde
dove leggera spuma
le reggeva il capo e irradiava mite
ai capricci dell’acqua la sua chioma.
Leo:
La tenera acacia
(solo un mese fa era fiorita)
e il forte pino
hanno innamorato uno spazio.
Si sono avvicinate le due querce.
Il bosco davanti a noi
darà profumi e frutti.
Donata:
Chi ha armato di odio l’anima vivente?
Chi ha mosso per primo la guerra?
Leo:
L’umanità alle nostre spalle,
non ci aiuterà
a ricordare.
Stringi la mano
che ti offro, negli abissi
non scenderai sgomenta.
Non fu altro che gioco, burla e motteggio.
Donata:
Non fu altro che gioco, burla e motteggio.
Leo:
La nostra casa
è sulla linea di confine
dei regni. Ho danzato
sono diventato curioso
e ho salutato il vecchio impero
buio, notturno, stridulo di insetti.
Ho guardato la luce
di questo nuovo regno,
mostra ogni cosa senza compassione.
Solo una serale pietà gli chiede
di ritardare l’uscita di scena
della logora umanità.
Donata:
Sono diversi la luce e il silenzio.
Leo:
Attestato sulla linea
del mio confine,
bene equipaggiato,
assistito – supportato
da un atlante di segni
sedimentati
cresciuti con fatica
e riservati (doni rari)
a chi si è esercitato
(con cura, con pazienza)
nel salto della propria specie
avvolgerò nel sogno
i corpi morti
sfatti a miliardi
in processione grigia
spoglia di candele canti e preghiere
inginocchiata dietro i propri piedi.
Donata:
Città umida di muffe
le tue larghe e pulite strade,
dolci d’amore,
s’infossano tra i topi.
I pilastri più alti sono altrove.
Le strade
si sono coperte di cenere.
Leo:
Sono tornato a casa
dai suoi muri forti e fieri
carezzandoli li ho amati bambino
non credevo di ritrovarli
dopo gli assalti
della dimenticanza.
La nuova specie è diversa
anche la tenera acacia
fiorisce quando non dovrebbe
e io vivrò l’impossibile
rovescio del destino della terra.
Abbiamo potuto pensare
che avremmo scelto quando morire;
ci siamo eretti statue sopra un tempo
ormai esausto nella sua alcova;
abbiamo approfittato
di amanti che appaiono e scompaiono
dolciastri come marzapane e nulla.
Ricordi quando annientavi ogni cosa?
Tutto era buio e oscurità
e tutto si inchinava
al deliquio del tuo trascorrere.
Non appena pensavo
alle mie beate traversie
già erano esaurite
dimenticate, niente,
ma qui dove la tenera acacia
fiorisce e rifiorisce
il nuovo linguaggio dirà
che la vita non muore
la pellicola non si rompe
io sono mente
sono diventato altro
dall’umanità vinta, illusa
che le proprie esperienze
potessero respirare in eterno
nella luce continua
anche se il corpo morto
era senza più soffio
né voce;
o si fantasticava
sull’aldilà, ricordi,
la poesia arrivava in paradiso
sublime
al cospetto di Dio;
e altri alla fine rassegnati
sfatti nella loro falsa saggezza
ricordi quanti inni alla vita bella
con la morte pesante già sul petto.
Ma io sono mente
non sono destinato
a scompormi nel clamoroso niente
io canto, io
sono diventato altro
dall’umanità vinta, illusa,
destinata all’orrore e all’errore
io, io
io sono mente
vivrò finché vorrò
vivrò finché vorrò
Io, io, iò, iò.